L’ alessitimia deriva dal greco “a”, per mancanza, “lexis”, per parola e “thymos”, per emozione; letteralmente “mancanza di parole per le emozioni”, ad indicare una sorta di “analfabetismo emozionale”, una marcata difficoltà nel riconoscere, esplorare ed esprimere i propri vissuti interiori.
Tale incapacità nel verbalizzare le proprie emozioni non va considerata quindi come una difficoltà di tipo esclusivamente espressivo ma come una vera e propria limitazione nella possibilità di elaborare le emozioni e di costruire un proprio mondo interno (Ricci Bitti & Caterina, 2001). Al contrario degli “alessitimici”, gli individui “emotivamente intelligenti”, hanno una buona autoconsapevolezza emotiva, sanno riconoscere precocemente
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i segnali fisiologici che accompagnano l’emozione, hanno capacità di autointrospezione e autoregolazione.
Svariate ricerche hanno mostrato come la comunicazione emotiva interpersonale abbia benefiche ripercussioni sullo stato di salute dell’individuo (ad esempio in presenza di lutti e situazioni traumatiche) in quanto protegge dagli “effetti a lungo termine” del disagio emozionale; dando la possibilità di rivivere, rievocare, condividere e quindi, in qualche modo, “sistemare” le emozioni (Pennebaker & O’Herron, 1984; Rimé,1989; come citato in Ricci Bitti & Caterina).