“Il vero corpo è coperto da un corpo pensato… Generalmente si pensa il corpo, lo si immagina, lo si vuole, lo si rifiuta, lo si ama, non lo si ama, se ne ha fiducia, se ne dubita: tutto ciò è solo pensiero. Quando la paura diminuisce, tutto questo si ferma. Nel silenzio, il corpo parla”. (Eric Baret)”

L’intelletto corporeo o immaginale nasce nelle relazioni interpersonali, nei contatti sensoriali ed emotivi tra l’Io e il tu e tra l’Io e il mondo. Nel paziente psicosomatico questi contatti hanno determinato un deficit della differenziazione e dell’autonomizzazione dell’Io, e ciò in dipendenza da figure di accudimento troppo simbiotiche oppure troppo deprivanti. Perciò le astrazioni embrionali dell’intelletto corporeo, intrise di valenze corporeo-emotive, in questi pazienti sono veicolo di particolare dolorosità, e soprattutto causano un fondamentale “difetto dell’autonomia”.
Dunque l’autonomia può essere conquistata da questi pazienti in forma soltanto parziale e inusuale, tramite un peculiare irrigidimento dell’intelletto corporeo. Il paziente, a causa di questo irrigidimento, da una parte tenta di “raffreddare” le sensazioni dolorose e destrutturati che lo stesso intelletto corporeo contiene e veicola, e dall’altra ottiene in questo modo alla propria individualità una sorta di confine, una barriera protettiva che fornisce autonomia. Tuttavia il prezzo di questo meccanismo di adattamento e di questo genere di autonomia è appunto il deficit di funzionalità dell’intelletto corporeo, in particolare una carente comunicazione tra i diversi canali sensoriali, con conseguente incoordinazione del “sentire” sinestesico e intuitivo.
Il paziente ha paura delle proprie reazioni emotive, così come delle sensazioni corporee che le accompagnano e che le esprimono rendendole manifeste al Sé e agli altri. In altre parole, ha timore del proprio intelletto corporeo e delle “faglie” che esso inevitabilmente contiene, e che tende a far riemergere e a segnalare. Tuttavia, dell’intelletto corporeo il paziente non conosce le correlative risorse e le potenzialità positive, e soprattutto non le conosce qualora “sostenute” e stimolate da una relazione interpersonale attenta e contenitiva.
Il rapporto terapeutico offre una particolare condizione di equilibrio e di rassicurazione attraverso le modalità di svolgimento del lavoro espressivo e mediante l’intera stabilità del setting. Solo così potrà attivarsi nell’intelletto immaginale lo stato che Winnicott definisce «continuità dell’essere». La continuità d’essere è infatti una condizione sensoriale e affettiva equiparata da Winnicott all’esperienza soggettiva del bambino di essere fuso con una madre sufficientemente buona, esperienza dalla quale può emergere, come espressione del vero Sé, la capacità di «vivere in modo creativo» e di «giocare». Le psicoterapie espressive agiscono stimolando elettivamente l’intelletto corporeo o immaginale all’interno di un rapporto interpersonale (duale o di gruppo). A questo scopo esse ricorrono di volta in volta alla parola orale o scritta, alla danza, alla musica, alla creatività plastico-figurativa (disegno, pittura, scultura), al teatro, utilizzando in tutti

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questi casi un “agire” che nasca dall’ascolto del proprio corpo e della sensorialità affettiva, e che in questo modo trasponga direttamente nel prodotto estetico le intuizioni e i percorsi dell’intelletto corporeo. In questo senso il prodotto estetico diventa un oggetto mediatore, autentica localizzazione esterna dell’area mentale interna immaginale.Le libere “riflessioni” preriflessive della corporeità affettiva e immaginale possono dunque materializzarsi ed esprimersi in un agire anch’esso corporeo-affettivo, l’agire estetico e creativo mediato dall’oggetto estetico e dal rapporto interpersonale.

In questa forma e in questo contesto, il prodotto estetico-espressivo assume con particolare intensità il ruolo descritto da Bollas di «oggetto trasformativo». Si tratta in pratica del ruolo svolto dallo stesso intelletto immaginale: la produzione sensoriale e affettiva, vale a dire psicofisica, di positive trasformazioni del Sé e dell’ambiente.
L’obiettivo dunque è lasciare che il corpo-mente pensi, producendo pensieri che in realtà sono azioni intrise di sensorialità e di emozione, veicolo di astrazioni ancora embrionali perché ricche della matrice preriflessiva da cui sgorgano in stretta adesione. Perciò, riferendosi in questo caso a chi dell’arte ha fatto la propria professione, Caroline Case e Tessa Dalley affermano: «Il corpo dell’artista serve, grazie alla sua consapevolezza, a elaborare emozioni» .
Le tecniche finalizzate a far “discendere” la consapevolezza dal predominio dell’intelletto astratto alla maggiore vicinanza di quest’ultimo rispetto all’intelletto corporeo sono di vario genere.
Il lavoro espressivo può essere preceduto e accompagnato da procedimenti di arteterapia, di rilassamento corporeo mutuati dallo yoga, dal training autogeno o dal rilassamento progressivo, o ispirati altrimenti a tecniche di modifica delle tensioni psicofisiche estrapolate dalla bioenergetica, dalla psicomotricità o da metodi di concentrazione sul corpo quali il focusing. Sono poi fondamentali gli esercizi di consapevolezza rivolti alla sua rieducazione, finalizzati a una maggiore spontaneità ritmica ma anche a potenziare la capacità che il respiro possiede nel riattivare procedimenti logici extrariflessivi ed emozioni.
In ogni caso l’essenziale è fare in modo che qualunque sia il metodo espressivo adottato, la danza o la musica, il disegno o la pittura, questo resti espressione di quanto liberamente emerge dall’ascolto sensoriale-affettivo del proprio corpo e dell’ambiente.

Tratto da: “L’intelletto corporeo o immaginale. Uno strumento per le psicoterapie espressive” di Marco Alessandrini Psichiatra, Psicoterapeuta. Fonte: ( Psychomedia Telematic Review )

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