“ Mio figlio ha perso la testa per una donna che a me non è mai piaciuta… la nuova ragazza mi sembrava volgare, mi sembrava che volesse approfittarsene di lui, e così ho tentato di convincerlo in tutti i modi a lasciarla. Forse un giorno me ne sarà grato”.
Amore o violenza? Quale la sottile differenza fra protezione dei propri figli e/o il sostituirsi a loro anticipando ciò che meglio per loro? Quale avrebbe dovuto essere il compito di questa madre? Aiutare un figlio implica ergersi a giudice del suo destino e invadere la sua vita?
Sentiamo parlare di fenomeno di stalking, di erotomania, di dipendenza affettiva, di comportamenti ossessivi, di gelosia patologica, insomma di violenza e abusi psicologici. Io mi interrogo sul ruolo che hanno svolto i genitori delle persone che sviluppano questi comportamenti disfunzionali. Siamo sicuri che si tratti di amore (?) o è violenza schermata dietro il pretesto dell’amore e che agisce in base ai propri pregiudizi, ai propri bisogni di controllo e potere?
Il film dell’omonimo romanzo “L’amore ai tempi del colera” di Gabriel Garcìa Màrquez, che mostra due figure genitoriali, quella del padre di Fermina e quella della madre di Florentino, che in diverse modalità esprimevano forme di “eccessivo amore” nei confronti dei figli: l’uno che proteggeva la figlia con estrema aggressività e disinvoltura dal contrarre un matrimonio sbagliato; l’altra che pur di lenire le pene d’amore del figlio lo costringe “spalle al muro” a condividere il suo letto con una vedova desiderosa di seppellire il ricordo del defunto marito durante gli amplessi e intercede con un parente affinchè lo mandi in un luogo sperduto pur di dare sollievo alle sue pene d’amore.
I figli non sono liberi di contraddire i genitori e ogni movimento verso l’autonomia è visto come un tradimento, un sabotaggio al rapporto, una ferita profonda, perchè come si suol dire “la mamma è sempre la mamma”!!!
Il genitore salvatore, per definirlo con l’accezione utilizzata da E. Berne, misconosce la libertà del figlio da una parte; dall’ altra afferma la sua inettitudine con il messaggio: “Io so cosa è meglio per te”, ciò implica che il figlio sia incapace di badare a se stesso e rimanga un cucciolo da proteggere a vita!
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Quello che emerge è una relazione asimmetrica, impari, dove c’è un netto dislivello e i ruoli di Genitore e Bambino risultano sclerotizzati, imbalsamati, rigidi e disadattivi. Purtroppo su questo terreno si coltivano le future relazione sentimentali che ripropongono molto spesso i copioni intra ed interelazionali sperimentati nell’infanzia.
Nei rapporti tra adulti la situazione, almeno a livello ideale, dovrebbe essere ben diversa: ci dovrebbe essere il presupposto di una condizione di individualità e interdipendenza che preserva l’autonomia dell’altro e soprattutto non anticipa i bisogni, i desideri.
In questo scenario madre e figlio sono incastrati in un rapporto che li sottopone ad una reciproca schiavitù, limitando libertà di movimento, decisione e autonomia; così come avviene nelle coppie dove un partner ripropone il modello di carnefice e l’altro di vittima. Da entrambe le parti comunque vi è la persistenza di un modello relazionale che porta a sostenere dialoghi sbilanciati.
L’esistenza di queste persone è costernata di ansie e preoccupazioni, di “diffidenza” e tante limitazioni. Risulta difficile accettare l’altro per quello che è, con le sue esigenze e diversità, si tende invece ad avere molte aspettative che puntualmente vengono frustrate portando il rapporto all’asfissia.
Considerare l’altro una persona adulta, a se stante, con le sue peculiarità, incoerenze ed imperfezioni è un atto d’amore che non azzera la personalità ma ne esalta la bellezza, la spontaneità, l’autenticità e la possibilità di scelta.
Amare significa libertà!
Dr.ssa Angela Elia